VARIANTI, VACCINI, CONTAGI: INTERVISTA A TUTTO CAMPO CON LAMBERTO MANZOLI

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A distanza di un anno dall’inizio della fase più critica della pandemia, la situazione complessiva
sta progressivamente cambiando, con l’avvento dei vaccini e delle mutazioni del virus.
Il punto attuale nell’intervista con Lamberto Manzoli, medico epidemiologo, professore ordinario e direttore del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Ferrara.

Professor Manzoli, ci può dare un aggiornamento riguardo le varianti del Coronavirus? Quali sono ad oggi le maggiori preoccupazioni?

È noto che il Coronavirus muta, così come ad esempio fa il virus dell’influenza. Fortunatamente, la grande maggioranza delle varianti, che oggi sono già centinaia, è irrilevante sia da un punto di vista clinico che epidemiologico, ma alcune hanno invece caratteristiche peculiari, che le rendono più pericolose.
Tra queste varianti, in particolare, sono tre quelle che preoccupano, perché sono caratterizzate da numerose mutazioni della proteina spike (il meccanismo di ingresso del virus nella cellula umana) e sembrano essere più contagiose del virus originale.
Queste varianti sono note alla popolazione con il nome del paese nel quale sono state osservate la prima volta, e sono le varianti inglese, sudafricana e brasiliana.
Sia la variante inglese che quella sudafricana sono ormai diffuse in tutto il mondo, e si stima siano più trasmissibili di circa il 40%-50% rispetto al virus iniziale. Della variante brasiliana, al momento, è impossibile stabilire la contagiosità: si ritiene abbia contagiato il 70% della popolazione di alcune città brasiliane, ma è difficile capire se ciò sia avvenuto a causa di una maggiore infettività virale o per il mancato rispetto del distanziamento sociale (che, in Brasile, pare non sia rispettato rigidamente).
Chiaramente, la contagiosità è solo il primo degli aspetti preoccupanti. Il secondo riguarda la severità clinica del virus. La paura è, ovviamente, che una o più varianti possano indurre un quadro clinico più grave. Per fortuna, al momento, non sono emersi elementi per ritenere che nessuna di queste tre varianti sia più patogena e/o più letale.
Infine, il terzo punto preoccupante riguarda l’immunità in generale e la vaccinazione in particolare. Si teme che il virus mutato non venga più riconosciuto dagli anticorpi prodotti dai vaccinati o da coloro che sono stati infetti e sono guariti. Chiaramente, ciò porterebbe ad un calo marcato dell’efficacia delle vaccinazioni attuali, ed alla possibilità di reinfettarsi anche per chi è oggi immune (è bene ribadire, nella confusione attuale, che le persone che hanno già contratto l’infezione hanno oggi un rischio bassissimo di
contrarre nuovamente l’infezione in forma sintomatica). Per fortuna, perlomeno sino ad oggi, la variante inglese non ha dimostrato maggiore resistenza agli anticorpi, e sebbene la sudafricana e la brasiliana abbiano mostrato una maggiore resistenza, sono comunque state rese inattive dagli anticorpi prodotti dopo i principali vaccini. Si può dunque affermare che le vaccinazioni sono efficaci anche contro queste varianti. Il problema, ovviamente, è per il futuro: vi sono numerose nuove varianti che vengono identificate ogni giorno, tanto che si fa fatica addirittura ad assegnare loro un nome. Se tra queste ne emergesse una nettamente diversa dal virus attuale (in gergo “antigenic shift“), si dovrebbero aggiornare i vaccini, così come avviene già per l’influenza stagionale, e milioni di persone tornerebbero a rischio.
Le conseguenze sarebbero duplici, e non certo positive: da un lato, ci si dovrebbe vaccinare periodicamente (come per l’influenza), dall’altro lato, mantenendo l’attuale approccio politico-sanitario verso il Covid, le misure di protezione imposte (distanziamento, mascherine, etc.) non cesserebbero più, perché sarebbe impossibile garantire una protezione completa con i vaccini. Uno scenario, ora solo ipotetico, ma certamente non remoto, che dovrebbe portarci anche ad una riflessione sulle strategie di controllo della pandemia di lungo periodo.

Esiste la possibilità di essere veicoli asintomatici di virus, anche se vaccinati?

Sono stati tanti i casi di persone vaccinate risultate poi positive al tampone. È sicuramente una questione complessa, controversa sin dall’inizio della pandemia, che riguarda l’affidabilità dai tamponi. Alcuni grandi esperti mondiali, a riguardo, hanno pubblicato un articolo scientifico molto interessante sul Lancet proprio nei giorni scorsi. Essi hanno ricordato che non bisogna assumere che le persone con tampone positivo siano tutte infette, e tantomeno infettanti, il tampone è in grado di rilevare parti microscopiche di genoma virale anche per settimane e mesi dopo la guarigione di una persona.
Quindi, molte persone che sono guarite, magari da un mese, possono risultare ancora positive al tampone, ma non sono né infette né infettanti. Non solo, in letteratura scientifica si è riscontrato che la grande maggioranza di persone che si infettano rimane infettante solo per i primi 10 giorni. Quindi, si può essere positivi al tampone senza essere più infetti o infettanti. Questa premessa è necessaria per capire che essere positivi al tampone nella fase post-vaccinazione, quindi, è assolutamente possibile, perché possono permanere delle piccole parti di genoma virale. Tuttavia, le probabilità di essere infettanti sono molto basse.

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La maggiore contagiosità di queste varianti può impattare sui protocolli che oggi si applicano negli studi odontoiatrici? È possibile pensare di modificare queste indicazioni operative?

Sicuramente, considerando le varianti e la situazione epidemiologica, in questo momento risulta davvero difficile pensare ad una riduzione delle misure di protezione adottate. Dall’altro lato, non credo nemmeno che si debbano accrescere ulteriormente i protocolli di sicurezza. Con le nuove varianti è sufficiente una quantità di virus minore per essere contagiati, ma le modalità di trasmissione non cambiano. Per cui, se abbiamo barriere che fanno passare una piccola quantità di virus, non sufficiente oggi ad infettare, questo può essere un problema, perché la stessa quantità di virus domani potrebbe essere sufficiente a causare un’infezione. Ma se la quantità di virus che passa è zero (o vicina a), il virus continuerà a non essere trasmesso anche nelle sue nuove varianti, e non occorrerà cambiare nulla. Dalle ricerche svolte in collaborazione con ANDI, la carica virale di Coronavirus, negli ambiti lavorativi odontoiatrici che seguono le indicazioni di sicurezza correttamente, è stata al di sotto del limite rilevabile, quindi non mi sentirei di dire che i protocolli vadano modificati. Nelle prove che abbiamo fatto ed in quello che risulta dalla letteratura scientifica, i protocolli ad oggi adottati nel contesto odontoiatrico riducono enormemente la probabilità di passaggio del virus, a condizione, ovviamente, che siano applicati correttamente.

LA PROFESSIONE AI TEMPI DELLA PANDEMIA

Sul finire dello scorso anno in occasione del tradizionale commento e bilancio annuale, avevamo sintetizzato e connotato un lungo e drammatico periodo della nostra vita e della nostra attività professionale con una evocativa e nello stesso tempo ottimistica considerazione: Annus horribilis, ma ce la faremo, fiduciosi, soprattutto speranzosi che il nuovo anno potesse portare un sostanziale cambiamento nell’andamento della pandemia, nelle possibilità di affrontarla e di modificarne la progressione. Purtroppo in questo primo scorcio dell’anno in corso ci ritroviamo a vivere anzi a rivivire una situazione emergenziale dal punto di vista sanitario sostanzialmente simile a quella dello scorso anno, con curva epidemiologica che non accenna a deflettere, con i soliti spesso drammatici problemi sia organizzativi sia gestionali con i quali deve fare i conti tutto il comparto della sanità pubblica. Alle purtroppo abituali problematiche legate alla gestione dei pazienti sia a livello territoriale sia nelle strutture ospedaliere ormai vere trincee, si sono, infatti, aggiunti nuovi scenari derivanti dall’organizzazione della campagna vaccinale.
Il tanto auspicato arrivo del vaccino e l’inizio della sua somministrazione ad ampie fasce della popolazione hanno avuto una grande eco mediatica, una grande notizia carica di aspettative per tutto il paese. Purtroppo ben presto, sia a causa dei tempi oggettivamente molto stretti per dare inizio ad una operazione così impegnativa proprio dal punto di vista organizzativo, sia per i datati e purtroppo consolidati problemi “gestionali“ della nostra sanità, la buona novella si è ben presto tramutata in una gravosa, intricata e contorta vicenda italica, densa di tante contraddizioni ed esitazioni decisionali della quale siamo tutti partecipi, anche noi odontoiatri.
Non entro volutamente nell’ambito delle considerazioni epidemiologiche, scientifiche e financo “politiche“ dell’impostazione e strutturazione della campagna, ma non posso non ricordare e riportare alla vostra attenzione le incongruenze, ed incoerenze nella fase iniziale pianificata dall’ex commissario Arcuri, che escludeva di fatto la categoria dei sanitari liberi professionisti e tra essi anche i dentisti tra quelle ammesse alla somministrazione, sebbene, come evidenziato da indagini internazionali sul profilo di rischio delle attività professionali, il dentista, l’igienista e l’assistente risultino tra le figure più esposte ed a maggior rischio, dato ribadito dal prof. Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità fin dello scorso mese di aprile.
Solo il grande impegno delle Istituzioni Ordinistiche e delle Associazioni Sindacali ha fatto si che i dentisti ed il personale di studio odontoiatrico siano ora ricompresi tra le categorie prioritarie nel piano vaccinale.
Sì, ancora una volta ce l’abbiamo fatta da soli, con tanta caparbietà, questa volta finalmente con spirito di collaborazione e sinergia, trovando poi nel nostro caso specifico a livello regionale, interlocutori della sanità regionale attenti e disponibili.
Ovviamente nel tradurre nella pratica le dichiarazioni e gli intenti, soprattutto declinando le varie ordinanze sul territorio, abbiamo incontrato non poche difficoltà, ma anche questa volta abbiamo fatto la nostra parte nel supportare i colleghi associati, grazie ad una capillare azione informativa e di collegamento con la realtà sanitaria locale. Da pochi giorni infine, sempre grazie alla grande spinta ordinistica e delle associazioni in particolare di Andi, in seguito ad uno specifico protocollo di intesa tra lo stato e le regioni è stato riconosciuto all’odontoiatra un nuovo status di vaccinatore, così al pari di altre figure mediche anche gli odontoiatri potranno dare il fattivo contributo alla campagna vaccinale, in forma volontaria con grande spirito di solidarietà ed impegno civile e deontologico prima di tutto. È la dimostrazione del fatto che il Ministero della Salute ci considera interlocutori essenziali nell’ambito dell’assistenza sanitaria in Italia.
Più in generale relativamente alla professione in questo ultimo periodo ci stiamo tutti adattando ed adeguando ad una nuova apparente normalità nell’emergenza.
Nello scorso anno siamo riusciti a ripartire con l’attività ordinaria grazie al grande impegno di tutti, affidandoci a rigidi protocolli per la gestione dei pazienti e delle nostre strutture, riscontrando una buona risposta da parte dei pazienti e alla fine siamo riusciti anche a limitare i danni economici.
I dati di molti osservatori economico finanziari e del nostro centro studi testimoniano che la professione ha retto all’emergenza economica, con perdite di fatturato anche importanti, ma in grado di mantenere in condizioni di sicurezza la maggior parte degli studi professionali.
Ben diverso è stato l’impatto economico della pandemia su altre categorie professionali, riscontrando, rimanendo nell’ambito delle libere professioni, gravi perdite e addirittura la scomparsa di molti studi strettamente impegnati nel settore economico finanziario, ad esempio studi di consulenza fiscale e del lavoro.
Non siamo certo tornati alla normalità, ci dibattiamo quotidianamente con molte difficoltà sia organizzative sia gestionali, soprattutto come per altre situazioni abbiamo tutti capito che dobbiamo fare fronte comune e come si suol dire cavarcela da soli, affidandoci alla nostra esperienza e professionalità.
Al momento la politica e le istituzioni governative non hanno dimostrato grande attenzione per le professioni e gli aiuti proposti ed annunciati sembrano essere decisamente insufficienti a fronte di quanto stiamo vivendo. Argomento questo che tratteremo sicuramente a breve, alla luce dei vari provvedimenti e di roboanti notizie di importanti aiuti economici… in arrivo.